Foto: Palazzo Sforza – Archivio fotografico Unione comuni Bassa Romagna

Adagiata sulla sponda sinistra del fiume Senio, posizione strategica che le fu fatale durante la seconda guerra mondiale, Cotignola in gran parte è il risultato di una ricostruzione post-bellica. Il suo nome, che si trova per la prima volta in un documento del 919, probabilmente risale alla particolare attitudine del terreno alla coltivazione della mela cotogna.

Sotto il dominio dei Faentini, dei Bolognesi, degli Estensi, dei Conti di Cunio, degli Sforza, Cotignola conobbe alterne vicende a partire dal XIII sec. Fu grazie al condottiero John Hawkwood (Giovanni Acuto), che ricevette il Castello di Cotignola nel 1372 da Papa Gregorio XI di cui era stato per anni servitore, che Cotignola, cinta di nuove mura e baluardi, divenne di rilevante importanza.

Fu proprio questo capitano di ventura che edificò nel 1376 la Torre d’Acuto ricostruita nel 1972, dopo che venne fatta saltare dai tedeschi nel 1944, e divenuta il simbolo di Cotignola. In cima campeggia “E’ Campanòn”, la campana civica del 1616 che reca bassorilievi raffiguranti immagini sacre e lo stemma di alcune antiche famiglie cotignolesi tra cui i Rossini, capostipiti del grande musicista Gioacchino Rossini.

Anche Palazzo Sforza fu distrutto durante la guerra e ricostruito nel 1961, su progetto dell’architetto Carlo Visani, nel rispetto delle forme originali di cui conserva ancora il rosone in cotto con lo stemma di famiglia ed alcuni elementi architettonici. Attualmente è sede del Museo Civico Varoli che ospita mostre temporanee al piano terra e al primo piano la sala archeologica e la sezione delle opere più significative di Luigi Varoli, pittore cotignolese che abitò nel fabbricato di fronte al palazzo, noto come scuderia degli Sforza, e che diresse per diversi anni la Scuola di “Arti e Mestieri”. Il museo raccoglie pregevoli testimonianze del folklore di Cotignola, come i mascheroni in cartapesta realizzati dal maestro per la sagra della Segavecchia, evento tradizionale che dal 1451 si tiene a metà Quaresima, e numerosi reperti archeologici che attestano come esistessero insediamenti romani già in epoca anteriore all’era cristiana, tra cui la stele romana databile per i caratteri epigrafici e stilistici al decennio 30-40 d.C. ritrovata nel 1817 durante i lavori di costruzione del ponte della via Gabina. La stele, che costituisce un raro esempio di un’arte “colta” in ambiente provinciale, faceva parte di un monumento funerario dedicato ad una famiglia di liberti benestanti resi liberi da Caio Vario.

L'Arzdora di Hyuro - Giorgio Melandri

Nel 2013, a seguito di una breve residenza dell’artista spagnolo Gonzalo Borondo, ha preso il via un progetto che collega il museo al paesaggio attraverso un percorso ramificato di muri dipinti (la mappa a cura di Romagna Sentieri è consultabile a questo link), un itinerario ideale che comprende le tre aree naturalistiche – Parco Pertini, Lago dei Gelsi e Isola dell’Albaraz – a raggiungere la campagna, dove in uno scenario caratterizzato da un’ampia golena del fiume Senio e un boschetto di acacie, l’associazione culturale Primola organizza ogni anno nel mese di luglio l’Arena delle balle, l’unico anfiteatro di paglia della Romagna, con concerti, spettacoli teatrali, incontri poetici, land art dal sapore immaginifico e campestre.

Molti sono stati gli street artist che negli anni hanno contribuito ad arricchire l’iniziativa tra cui About Ponny, Reve Più, Gola Hundun, Dem e Tamara Djurovic, in arte Hyuro, artista argentina prematuramente scomparsa che ha realizzato il murale “L’Árzdora”, in cui evoca la struttura della famiglia patriarcale, estremamente gerarchica e codificata con regole severe comunemente accettate, attraverso una doppia donna senza testa con un mestolo in mano (il primo intero e il secondo spezzato) a simbolo di incarico per le faccende domestiche che la suocera dava alla nuora al suo ingresso nella nuova famiglia.

Tra le varie opere merita senz’altro una citazione il Distributore non automatico di Coraggio, un murale, realizzato nel 2015 dal Collettivo FX su una cabina Enel, che ritrae una serie di quadri e finestre in cui si affacciano i protagonisti di quei lunghi 145 giorni in cui il fronte stazionò sulle sponde del fiume Senio, dal novembre 1944 fino alla liberazione del paese avvenuta il 10 aprile del 1945. Fra questi ci sono anche i volti dei quattro Giusti tra le Nazioni cotignolesi: il già citato Luigi Varoli e sua moglie Anna e Vittorio e Serafina Zanzi, che si adoperarono per creare una rete di accoglienza che giunse a salvare 41 ebrei perseguitati dalle leggi razziali.

Chiesa di San Francesco a Cotignola - Alberto Dessì, Wikimedia Commons

Degna di visita è inoltre la Chiesa di San Francesco della fine del XV sec. dove è custodito il corpo del Beato Antonio Bonfadini, patrono di Cotignola la cui festa ricorre il lunedì di Pasqua. Molte furono purtroppo le opere sottratte in età napoleonica, ma è possibile tuttora ammirare alcuni affreschi, come la lunetta della Pietà (XV sec.), parte di una pala di Francesco Zaganelli, e la Pietà attribuita a Gerolamo Marchesi, collocata sopra l’altare maggiore, di cui rimane la sinopia sopra la porta d’ingresso della navata laterale sinistra. Accanto alla chiesa, collegata da un grazioso loggiato, è la Cappella di Santa Maria degli Angeli, trasformata in sacello degli Sforza. L’abside e la volta sono decorate da mirabili affreschi dei fratelli Zaganelli; interventi di restauro hanno riscoperto anche un affresco ritraente San Francesco che riceve le Stimmate attribuibile a Gerolamo Marchesi.

Articolo pubblicato su piunotizie.it.

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